È questa la direzione intrapresa da diverse aziende di fama mondiale per ridurre drasticamente l’impatto ambientale
Questa pratica, attualmente in vigore in altri Paesi, potrebbe ben presto arrivare anche in Italia.
Il “cambiamento di rotta” è riconducibile a un’abitudine sempre più scorretta e consumistica da parte dei clienti di tutto il mondo che, rassicurati delle politiche di reso user-friendly, acquistano diverse varianti di prodotto per poi rispedire tutti i beni indesiderati al mittente.
Oltretutto, il fenomeno del “reso compulsivo” ha creato ingenti difficoltà economiche anche ai grandi colossi del mercato che, oltre a interfacciarsi con i costi elevati per la gestione delle richieste, sono i primi a dover rispondere della propria responsabilità sociale d’impresa, implementando delle misure operative di riguardo per le emissioni ambientali.
È emerso chiaramente che le politiche adottate finora rappresentano un modello insostenibile nel lungo termine: attualmente, il successo di un progetto di e-commerce è determinato principalmente dall’ottimizzazione dei molteplici costi associati alla vendita del prodotto.
I soli costi di produzione del bene hanno un impatto irrisorio dinanzi agli investimenti necessari per la promozione, la logistica, l’organizzazione e l’assistenza clienti.
I colossi del settore in passato non hanno esitato a farsi carico delle spese di reso, sfruttando questa strategia per esercitare pressione sui competitor e mantenere un posizionamento dominante, come nel caso di Amazon che promuove un’esperienza di commercio facile e conveniente.
Questa tattica, tuttavia, comporta delle sfide, specialmente nei paesi anglosassoni, dove l’atteggiamento spregiudicato nell’e-commerce ha portato a un elevato numero di resi e di conseguenza, numerosi account disabilitati per malafede.
Questa notizia potrebbe rappresentare un crocevia di cambiamento per le regole del commercio elettronico italiano influenzando nello specifico il settore Fashion & Retail.
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